I grotteschi segreti nei simboli dell'Inferno di Coppo di Marcovaldo



Grottesco e spaventoso appare al visitatore l'orrendo aspetto di Satana che appare nei mosaici del battistero di Firenze che ricoprono la cupola interna e la volta dell'abside, creati a partire dal 1225, e completati verso il 1330 da Coppo di Marcovaldo.

Un enorme Satana cornuto, su un trono infiammato, divora un uomo mentre dalle orecchie gli escono due serpenti che addentano altrettanti dannati.

Orrendi diavoli con ali nere di pipistrello, antitetici agli splendenti angeli dalle luminose ali che vivono nella beatitudine del Paradiso, spingono i dannati, dove si accalcano calpestandosi, e tappandosi gli occhi e la bocca per il disgusto e l'orrore del luogo o meglio, della dimensione in cui dovranno stare per sempre.

Nella scena appaiono mostri a forma di serpente, di rana o di lucertola, simboli di malvagità e metafora della natura insaziabile di Satana.

Le orecchie d'asino di Satana sono simbolo della natura bestiale e malvagia del demonio e dell'Anticristo.

Le corna, attributo iconografico del demonio, derivano dalla rappresentazione del dio celtico Cernunnos e sono il simbolo della sconfitta del paganesimo operata dalla Chiesa.

Si assiste sgomenti alle pene infernali cui sono sottoposti per contrappasso, ovvero per antitesi rispetto ai peccati compiuti, i dannati: impiccati, mutilati, arsi allo spiedo, sbattuti o obbligati a bere oro fuso; un gruppo di dannate è avvolto dalle fiamme, simbolo sia della pena infernale e indice di dolore, soprattutto spirituale, ma anche della "pulizia" e della distruzione della "spazzatura spirituale umana", con allusione ai discorsi fatti nel Vangelo da Gesù che affermava che i malvagi sarebbero stati gettati nella Geenna, fra le fiamme, ovvero nel grande deposito dei rifiuti alle porte di Gerusalemme.

Per analogia, l'Inferno è quindi un immenso scarico e inceneritore di immondizia.

Satana viene spesso rappresentato nell'atto di inghiottire i dannati in quanto il motivo infernale della "bocca divorante" riflette un'antica concezione del principio di creazione e distruzione.

Sia in questa rappresentazione come in quella di Giotto, del 1306, che appare nella Cappella degli Scrovegni a Padova, Satana appare con il "vultus trifrons", ovvero con tre facce.

Tale rappresentazione, mutuata anche da Dante Alighieri nella sua Divina Commedia, al canto XXXIV della prima Cantica, è la perfetta antitesi della Trinità celeste: se le caratteristiche divine sono la divina podestate, (il Padre) la somma sapïenza (il Figlio) e 'l primo amore (lo Spirito) (Inf. III, vv. 5-6), quelle di Lucifero sarebbero quindi, in antitesi, impotenza, ignoranza e odio, rappresentate simbolicamente dai tre colori delle facce di Lucifero citati da Dante, rosso, bianco-giallo (faccia a destra) e nero (faccia a sinistra).

C'è anche chi ha attribuito ciascun colore al simbolo di una fase dell'opera alchemica, la rubedo, l'albedo e la nigredo.

Le rappresentazioni del vultus trifrons sono molto antiche: abbiamo rappresentazioni di divinità solari a tre teste o con tre volti su una testa sola tra i Celti, nelle regioni della Gallia romana e nei Balcani. Le divinità a tre teste nei culti pagani, furono quindi assimilate dai cristiani all'opposto di Dio, ovvero al Nemico, al demonio.

Dante vede Lucifero come uno sconfitto reso impotente da Dio, quindi anche ridicolizzabile dagli uomini: Giotto lo dipinse obeso nella Cappella degli Scrovegni (1306), è grottesco quello di Coppo nel Battistero di Firenze e Dante lo userà come scala, per accedere al Purgatorio e uscire dall'Inferno.

L'antitetica deforme allegoria della Trinità, sconfitta, umiliata e derisa alla fine dei tempi, è un motivo ricorrente, quindi, nell'arte e nella letteratura medievale, per meglio far rifulgere lo splendore, la gloria e la vittoriosa magnificenza dell'onnipotente e onnisciente Amore divino.


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